VITA RELAZIONALE DI UN GAY

Scrivere tra le pause per riempire il tempo. I progetti sono in stand by, si deve aspettare che le cose vadano per la loro strada o che semplicemente svaniscano senza andare da nessuna parte. Poi ti rendi conto che quelli che credevi problemi grandi erano in effetti piccole cose e te ne rendi conto quando ti scontri con i nuovi problemi, o semplicemente capisci che hai minimizzato alcuni vecchi o vecchissimi problemi, che hai creduto di sapere gestire cose che erano più grandi di te, che hai trovato analogie che non esistevano, risposte e soluzioni del tutto inutili o utili solo a non vedere. Di fronte a quei problemi l’istinto è solo quello di scappare per salvare quel po’ di tranquillità che ancora c’è, far finta di non vedere e di non capire, passare semplicemente oltre. In altri tempi questo atteggiamento mi sembrava vile, oggi mi sembra l’unico sensato. Quando piove troppo o troppo poco è inutile pensare a come tenere la pioggia sotto controllo. Si smette di pensarci e si accetta che accada quello che deve accadere, perché in fondo un destino è comunque segnato. Quando ti rendi conto che ogni progresso era effimero e reversibile, che non c’è buona volontà che tenga quando si tratta di affrontare l’impossibile o semplicemente che non hai più voglia di combattere, deponi semplicemente le armi. Non hai più né amici né nemici, perché amici e nemici sono ora soltanto persone indistinte che puoi saggiamente solo lasciare andare verso quella che credono la loro direzione. Non conta chiedersi se è la direzione giusta o una direzione qualunque. Staccarsi vuol dire sentirsi più leggeri, perdere non persone, che in fondo non ci sono mai state, ma pezzi dello spirito, i pezzi dello spirito specializzati nel gestire o nel creare un coinvolgimento, in fondo pezzi disfunzionali dello spirito che legano a fantasmi, a idee, a doveri che non esistono. Semplificare vuol dire prendere coscienza che l’anima è veramente una monade che vive di se stessa, che il cervello si complica la vita attratto da ombre indefinite che esso stesso crea per poter continuare a funzionare. E il prossimo? Quello è il mistero che non vale indagare, il prossimo va spersonalizzato e trattato cristianamente come prossimo indistinto, come non io senza aggettivi perché di esso niente si conosce: passare dal distinto all’indistinto, dal singolare al plurale, dal tu al loro, significa sciogliere lo spirito, lasciarlo libero, non renderlo migliore, riportarlo piuttosto alla morale che non è tenere conto delle persone ma obbedire a un principio, nostro o esterno conta poco, è comunque un modo di spersonalizzare. La liberazione dello spirito è svuotamento di sentimento e in questo senso è serenità, è pensare solo ai ritmi della veglia e del sonno, del respiro, dell’essenziale che ancora non sembra prossimo a tradirci. Tutto il resto è vanità.

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