FINE ANNO DI UN VECCHIO GAY

Il 28 Dicembre 2018, una bella mattinata di sole. Esco al mattino, non c’è sensazione di gelo né vento fastidioso, al sole si sta bene, il cielo è luminoso, l’aria frizzante, gradevole. Tutto questo è l’esterno, poi c’è il corpo che è incerto, è il corpo di un vecchio, che sente un poco di affanno, muoversi può provocare dolore, ancora il corpo resiste ma dentro è minato, l’effimero del sé domina il campo, niente futuro, solo presente, ora per ora. Poi c’è lo spirito o quello che sia, ma senti che è vecchio anche quello, che non ha più slanci, ammesso che mai ne abbia avuti. Hai bisogno di conferme che vengono da fuori perché di certezze non c’è neppure l’ombra. Bisognerebbe spendersi senza riserve, forse, per cambiare qualcosa, ma è come se nulla valesse la pena. Non so se i figli siano un legame con il futuro, I gay non hanno figli, quando diventano vecchi hanno solo un passato dietro di loro, davanti non c’è nemmeno la proiezione dei figli a dare l’impressione di non finire del tutto. Mezzogiorno è passato, il sole comincia  a calare, c’è ancora, finché durerà. Si torna in casa, è più caldo, un ambiente conosciuto, vecchio anch’esso, pieno di ricordi che tra qualche tempo qualcuno butterà via, e anche se lasciassi il mio computer a qualcuno, nessuno se ne curerebbe. Ciascuno ha i suoi sogni, che sono suoi soltanto, i suoi archivi che andranno perduti dopo di lui. Che fare del tempo che resta? È facile dire: qualcosa di buono. Il difficile è uscire dalle parole, dai sentimenti emotivi che non concludono nulla. Da vecchi si realizza il senso della solitudine perché la solitudine non è costruttiva e significa insieme estraneità e abbandono, mentale più che fisico, incontrarsi senza avere più nulla da dirsi, parlare di cose banali, solo per riempire il tempo. Passare delle ore insieme aspettando e desiderando di essere di nuovo soli, finché la salute renderà l’essere soli ancora accettabile e dopo, Dio abbia pietà di noi.